Questo fumetto del 2019 è l'ultimo
realizzato da Go Nagai, come già spiega il titolo è
un'autobiografia che parla della nascita e della realizzazione del
suo capolavoro “Devilman” però attraverso gli occhi del suo
avatar fumettistico, creato dall'autore appositamente per l'opera,
Geki Nagai.
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Geki Nagai e Akira Fudo |
Nonostante avesse debuttato da appena
quattro anni Nagai era già molto famoso e richiesto al punto che
portava avanti ben 4 pubblicazioni settimanali, decise comunque di
prendersi la responsabilità di una nuova serie per togliersi di
dosso l'immagine di autore di manga comici creando una storia ricca
d'emozioni e colpi di scena che potesse valorizzare la sua carriera.
Senza storyboard o vignette preparatorie l'autore disegnava di getto
e solo al momento della consegna delle tavole il redattore le
accettava o cestinava, d'altronde se si considerano una media di
15/20 pagine per episodio ci si rende conto della mole di lavoro
quotidiano che nonostante l'aiuto degli assistenti andava avanti fino
a notte inoltrata. E questo senza contare pagine a colori, storie
autoconclusive e lavori per serie animate come Mazinger Z e, appunto,
Devilman. È un fatto noto anche se spesso messo in secondo piano, il
progetto nasceva proprio come serie animata come una sorta di erede
del manga “Mao Dante” del 1971, storia horror in cui un umano si
fondeva con un demone, rimasta incompleta a causa della chiusura
della rivista attirò comunque l'attenzione di un dirigente della
Toei che chiese a Nagai di lavorare ad un eroe per una serie
televisiva che ne riprendesse l'idea base e realizzandone il fumetto
che sarebbe stato completamente slegato dalla serie. Approfittando
del fatto che la rivista Shonen Magazine (su cui furono pubblicati
“Rocky Joe” e “Cyborg 009”) al tempo era letta anche da
studenti universitari e non solo da ragazzi Nagai creò
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L'aspetto base era quello di un pipistrello |
qualcosa di
completamente diverso, rese l'aspetto del protagonista più selvaggio
e bestiale scrivendo una storia violenta con toni splatter.
Geki Nagai ci accompagna nella
realizzazione degli episodi più significativi ed importanti
mostrandoci il modo in cui pensava di realizzarle, le motivazioni di
quelle scelte e le reazioni entrando in un periodo estremamente
intenso dal punto di vista creativo. In più di un'occasione lo
sentiamo dire della mole di lavoro e che si
sentiva morire, proprio per questo decise d'interrompere alcune delle
serie in corso, tale era la l'energia che gli richiedeva Devilman.
Come si può immaginare redattori e responsabili non erano felici di
veder concludere i fumetti di maggior richiamo delle loro riviste,
soprattutto quando avevano fatto pressioni per farle continuare anche
quando per l'autore la storia era considerata conclusa. Ciò fa
riflettere su quanta libertà goda un autore, a volte leggendo un
manga viene da dire che la storia viene tirata per le lunghe oppure
interrotta troppo presto. E quanto fosse sfiancante il lavoro viene
mostrato attraverso gli orari atroci con poche ore dedicate al sonno
o anche solo al riposo, e se avete presente la mentalità nipponica
sul lavoro avete il quadro generale di quanto fosse dura anche per un
giovane.
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Nagai si fa travolgere dalla sua stessa storia |
Viene data anche un'interpretazione
dell'opera che sinceramente nelle varie riletture nel corso degli
anni del fumetto non ho mai notato, Akira rappresenta i giovani, i
primi ad essere coscritti e sfruttati durate un conflitto, rendendo
“Devilman” una metafora della militarizzazione del Giappone. È
fantastico scoprire nuove interpretazioni di una storia che si
pensava di conoscere bene, da all'opera un valore aggiunto.
Mi piacciono molto questo tipo di
storie in cui vengono mostrati i processi creativi degli autori,
vedere come una semplice idea venga sviluppata evolvendo in qualcosa
che porterà a scelte narrative ed artistiche ben precise può
rivelarsi estremamente interessante. Mi piacerebbe una cosa simile
anche per “Mazinger Z”.
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