giovedì 25 giugno 2020

Bar Sport Duemila


Stefano Benni continua la narrazione iniziata in “Bar Sport” con questa antologia pubblicata da Feltrinelli nel 1997, dopo vent'anni l'autore ci mostra come il popolare luogo di ritrovo sia cambiato ed anche in questo caso la comicità è data da stereotipi realistici estremizzati fino a diventare surreali e grotteschi. D'altronde ogni bar è il Bar Sport, per quanto i frequentatori siano differenti si creano sempre situazioni assurde a prova che per quanto le cose possano cambiare restano sempre uguali.

Ed a proposito di cambiamenti i banconi ne hanno subiti parecchi, trasformati da semplici banchi in oggetti d'arredamento dal dubbio gusto che possono occupare anche il 90% dello spazio interno del bar e poco funzionali per clienti e baristi. Monoliti neri che ricordano lapidi, ammassi di vetri e specchi degni dei labirinti di un luna park e lunghi serpentoni sono solo alcuni dei tipi divenuti di moda negli anni. D'altronde dagli anni '70 anche i bar erano cambiati molto, più simili a locali della movida piuttosto che luoghi dove prendersi un caffè, fare colazione, guardare qualche programma o partita in tv con amici. L'autore lo descrive come Bar Fico, ormai molto diffuso in città dove si ritrovano le “persone che contano” è riconoscibile per costose paste microscopiche, cocktail annacquati e varie tipologie di stuzzichini per l'aperitivo con baristi in divisa. Il suo contrario è il Bar Peso, ormai ridotto a pochi esemplari che si trovano principalmente in paesi di montagna con televisione posta a quattro metri d'altezza con il telecomando rotto da anni, fantasiosi cocktail a base di trielina o latte ravvivato con alitata etilica, altro che il Latte Più di “Arancia Meccanica”, e una torta che è diretta discendente della Luisona.
Non manca il grande assente del libro precedente: il videogioco. Chi è stato bambino negli anni '80 e nei primi '90 ricorderà come i videogiochi non fossero ben visti dai clienti più anziani, li consideravano rumorosi ed impedivano di godersi una partita a biliardo o la televisione o rilassarsi con il caffè attirando ragazzini urlanti. Il protagonista dell'evento è proprio uno di questi vecchietti, da distruttore di cabinati finirà per diventare un accanito giocatore.
Fra le descrizioni dei frequentatori mi ha colpito molto “l'incazzato da bar”, già dal nome si capisce il tipo di personaggio su cui ironizza l'autore ed infatti abbiamo una figura perennemente frustrata che se la prende con tutto e tutti pur di sfogarsi al punto di cambiare bersaglio nella stessa conversazione nel giro di pochi minuti. È l'estremizzazione delle classiche “chiacchiere da bar”, che potevano sia divertire che far arrabbiare ma restavano innocue, fa uno strano effetto vedere che una cosa realizzata per ridere sia, a distanza di ventitré anni, diventata praticamente una realtà che va a coinvolgere anche una certa politica.

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