Stefano Benni continua la narrazione
iniziata in “Bar Sport” con questa antologia pubblicata da
Feltrinelli nel 1997, dopo vent'anni l'autore ci mostra come il
popolare luogo di ritrovo sia cambiato ed anche in questo caso la
comicità è data da stereotipi realistici estremizzati fino a
diventare surreali e grotteschi. D'altronde ogni bar è il Bar Sport,
per quanto i frequentatori siano differenti si creano sempre
situazioni assurde a prova che per quanto le cose possano cambiare
restano sempre uguali.
Ed a proposito di cambiamenti i banconi
ne hanno subiti parecchi, trasformati da semplici banchi in oggetti
d'arredamento dal dubbio gusto che possono occupare anche il 90%
dello spazio interno del bar e poco funzionali per clienti e baristi.
Monoliti neri che ricordano lapidi, ammassi di vetri e specchi degni
dei labirinti di un luna park e lunghi serpentoni sono solo alcuni
dei tipi divenuti di moda negli anni. D'altronde dagli anni '70 anche
i bar erano cambiati molto, più simili a locali della movida
piuttosto che luoghi dove prendersi un caffè, fare colazione,
guardare qualche programma o partita in tv con amici. L'autore lo
descrive come Bar Fico, ormai molto diffuso in città dove si
ritrovano le “persone che contano” è riconoscibile per costose
paste microscopiche, cocktail annacquati e varie tipologie di
stuzzichini per l'aperitivo con baristi in divisa. Il suo contrario è
il Bar Peso, ormai ridotto a pochi esemplari che si trovano
principalmente in paesi di montagna con televisione posta a quattro
metri d'altezza con il telecomando rotto da anni, fantasiosi cocktail
a base di trielina o latte ravvivato con alitata etilica, altro che
il Latte Più di “Arancia Meccanica”, e una torta che è diretta
discendente della Luisona.
Non manca il grande assente del libro
precedente: il videogioco. Chi è stato bambino negli anni '80 e nei
primi '90 ricorderà come i videogiochi non fossero ben visti dai
clienti più anziani, li consideravano rumorosi ed impedivano di
godersi una partita a biliardo o la televisione o rilassarsi con il
caffè attirando ragazzini urlanti. Il protagonista dell'evento è
proprio uno di questi vecchietti, da distruttore di cabinati finirà
per diventare un accanito giocatore.
Fra le descrizioni dei frequentatori mi
ha colpito molto “l'incazzato da bar”, già dal nome si capisce
il tipo di personaggio su cui ironizza l'autore ed infatti abbiamo
una figura perennemente frustrata che se la prende con tutto e tutti
pur di sfogarsi al punto di cambiare bersaglio nella stessa
conversazione nel giro di pochi minuti. È l'estremizzazione delle
classiche “chiacchiere da bar”, che potevano sia divertire che
far arrabbiare ma restavano innocue, fa uno strano effetto vedere che
una cosa realizzata per ridere sia, a distanza di ventitré anni,
diventata praticamente una realtà che va a coinvolgere anche una
certa politica.
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