martedì 21 aprile 2020

Anime


Questa non è proprio una recensione bensì un pezzo di storia nerd in Italia.
Oggi per avere delle informazioni su una serie animata o un film basta andare su Google, digitare il titolo ed in un semplice click ecco che si ottengono tutte le informazioni su numero di episodi, anno di produzione, trama e staff. Ma per noi nati nell'era analogica non era così semplice, già era difficile seguire tutte le programmazioni figuriamoci sapere quanti episodi dovevano essere composte le serie o chi ci aveva lavorato. Se eravamo fortunati i loro nomi apparivano di sfuggita, a volte pure sbagliati come nel caso di
Akira Matsumoto e Shun Miyazaki.
Questo fino al 1991 quando Granata Press pubblicò questa completa guida ad opera di giovani appassionati che raccoglieva tutta l'animazione nipponica fin dal primissimo film"Hakujaden" della fine degli anni '50, diviso per anni metteva in ordine per data di uscita i vari titoli classificandoli come film, serie, special od OAV indicando casa produttrice, durata e, in caso di serie, quantità di episodi con inizio e termine della messa in onda.
In molti casi le informazioni erano solo quelle essenziali (produzione, data e durata), in altrettanti riportavano la sinossi della trama con accenni agli autori e non mancano quelli con contenuti più corposi con qualche commento. Ogni capitolo era dedicato ad un anno e si apriva con una breve introduzione che ne illustrava gli eventi più importanti, come la messa in onda di “Atom” e “Jungle Taitei” che erano le primissime serie animate nipponiche, una realizzata in B/N e l'altra a colori, o l'arrivo al cinema di film come “Cagliostro no shiroo”.
Il lavoro degli autori fu davvero notevole, oggi da buon scettico non credo abbiano visionato tutti quei titoli ma la raccolta d'informazioni è minuziosa ed il più esauriente possibile, specie se si considera la reperibilità del materiale di allora.
Accolto con un iniziale menefreghismo, al punto che la Granata Press lo regalava a chi si abbonava per un anno a Mangazine, divenne poi ambitissimo fra noi appassionati e quasi oggetto di culto visto che divenne praticamente introvabile, c'erano voci di una ristampa ma poi la Granata fallì lasciando tutti a bocca asciutta. Cioè, tutti quelli che non lo avevano acquistato a suo tempo.
"Anime" raggiunge parzialmente il 1988 ed è l'unico volume del suo genere, qualche editore ha cercato di replicarne il progetto quando l'animazione divenne più conosciuta ma con scarsi risultati, d'altronde si limitavano ad attingere i dati, specie delle serie inedite, proprio da “Anime” e quando non ne copiavano pari pari i testi, nel tentativo di essere freschi ed originali, sparavano certe cafonate che ti facevano rimettere il volume al suo posto con la sensazione di lavarti le mani.
Perché scegliere le copie fatte peggio?
Per quanto un lavoro di tutto rispetto ci sono dei piccoli errori, il più famoso è che il riassunto delle ultime due puntate di "Maison Ikkoku", al tempo ancora parzialmente inedita da noi, per una svista sfuggita alla revisione prima di andare in stampa viene usato al posto di quello del film "Last movie", che tratta una storia completamente diversa. Ciò che lo ha reso famoso è che quella svista fu usata da chiunque parlasse del film in articoli e riassunti dimostrando, clamorosamente e squallidamente, di copiare senza aver visto ne serie ne film.
Gli autori di "Anime" erano Andrea Baricordi, Massimiliano De Giovanni, Andrea Pietroni, Barbara Rossi, Sabrina Tunesi.
Avrete senz'altro riconosciuto i quattro, divenuti noti con il nome di Kappa Boys, oggi Kappa Lab. Questi ragazzi furono importantissimi per la diffusione del manga nel nostro paese, appena maggiorenni fondarono la fanzine "Mangazine" arrivando, da qui, a collaborare prima con la Granata Press e poi con la Star Comics con la rivista “Kappa Magazine” dove avrebbero presentato nuovi e moderni autori come Juzo Takada e Masamune Shirow.

2 commenti:

  1. Un volume leggendario, letto e riletto allo sfinimento, che custodisco sempre con gelosia come una preziosa reliquia di un tempo che fu.

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    1. Al livello culturale non penso che ci sia niente di simile.

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