Che adoro Benni ormai lo sapete, adoro il suo stile in cui mischia una narrazione semplice e a tratti comica a temi seri e malinconici creando ambientazioni che pur apparendo realistiche sconfinano nel fantastico. E “La compagnia dei celestini”, pubblicato nel 1992, è proprio uno di questi. Perennemente in crisi economica, gravemente inquinata e con un grande divario fra ricchi e poveri la nazione di Gladonia, evidente parodia dell'Italia, è scelta per ospitare il torneo mondiale di pallastrada, gioco praticato in segretezza dagli orfani di tutto il mondo ogni quattro anni le squadre più meritevoli vengono invitate a partecipare con il patrocinio dalla divinità protettrice degli orfani nota come il Grande Bastardo. A rappresentare Gladonia è stata selezionata la Compagnia dei Celestini dell'orfanotrofio zopilota di Santa Celestina, il capitano della squadra Memorino Messori, filosofo in erba, Luciano Diotallevi, detto Lucifero per il suo carattere combattivo, e Bruno Viendalmare, chiamato dagli amici semplicemente Alì, scappano per partecipare al campionato e trovare durante il viaggio gli altri due membri necessari all'iscrizione. Il loro scopo è reclutare i famosi gemelli Didì e Pelè Finezza, unici sopravvissuti della famiglia sterminata da spietati cacciatori di talenti che volevano mettere sotto contratto quei geniali calciatori. All'inseguimento parte don Biffero, lo zopilota che gestisce l'orfanotrofio, preoccupato che la loro fuga generi uno scandalo per la sua chiesa e danneggi la disciplina degli altri orfani, anche se avrà diversi problemi a gestire la sua libido a contatto con le donne del mondo esterno.
Stefano
Benni crea una vera e propria mitologia all'interno
dell'ambientazione di cui la parte principale, ma non l'unica, è il
mito di Santa Celeste a cui è dedicato l'orfanotrofio, figlia del
crudele conte Feroce Maria Heinrich secondo la leggenda è salita al
cielo da bambina per redimerne i peccati. Intorno a lei nasce una
profezia che annuncia un destino terribile per l'ordine, forse per
l'intero paese, e a mischiare le carte sull'ascensione i nostri
protagonisti incontrano Celeste, la discendente della bambina della
leggenda (che quindi non è mai scesa in cielo), che li accompagnerà
nel loro viaggio dimostrandosi una risorsa fondamentale per loro. Ed
anche un'ottima portiere.
La storia inizia con un tono leggero,
personaggi e situazioni strane e buffe creano l'effetto comico unito
ad una in piccola critica sociale, per esempio alla chiesa
rappresentata principalmente da Don Biffero che è più interessato
alle proprie comodità e vestiti eleganti piuttosto che al benessere
degli orfani. Via via che prosegue diventa sempre più una commedia
nera con una critica più marcata ed estrema soprattutto alla
continua ricerca di profitto e lo sfruttamento di ogni cosa, anche la
più piccola, per ottenere un guadagno Si può dire che la
pallastrada rappresenti la passione più pura per il calcio, giocato
solo per la passione ed il divertimento come dimostrano la dedizione
con cui gli orfani ne rispettano la segretezza e sia proibito ai
giocatori usare maglie e per identificare le squadre si arrangiano
con bandane, calzini e fazzoletti. Rivelare al mondo questa
disciplina segretissima ed ottenere così prestigio e denaro è
l'obbiettivo del reporter Fimicoli, che rappresenta la bassezza
tipica del cittadino comune ormai assuefatto ad ogni politico
corrotto e delitto efferato è sempre alla ricerca di nuovi stimoli.
Non mancano personaggi bizzarri, come
le altre squadre che partecipano al torneo di pallastrada, e
neologismi strani e divertenti quali poliziorchi, figlidipà e
figlidipù per indicare ragazzi benestanti e con genitori. Ed
ovviamente un umorismo grottesco feroce che tocca il suo apice
mettendo Cosa Nostra al livello di una nazione in espansione e quindi
dotata di un proprio esercito con a capo un generale, un veterano
assunto a suon di soldi dall'esercito di Gladonia, che si esprime con
leggerezza ed ilarità sulle sue precedenti azioni di guerra con
bambini come bersagli
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